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Alois Braga ha scritto numerosi racconti brevi e un solo romanzo, anche se lui non ha mai osato definirlo tale. Poco prima di morire pubblica on line Aveva quasi smesso di piovere, un racconto lungo a più movimenti: forse il migliore, certamente quello della maturità. Questo racconto è tratto dall'e-book: |
TROPICAL PIZZARacconto di Alois Braga
Saranno i vestiti leggeri, la sensazione della pelle sudata oppure le lunghe ore di ozio, fatto sta che d'estate i sensi sono più sollecitati e prossimi a esplodere. Lo osservo con interesse, in pizzeria, il tizio di fronte a me, davanti a una prosciutto e funghi, e d'improvviso mi ricordo di una cosa che devo aver letto da qualche parte, una sorta di storia sociale della pizza, che chi sceglie una prosciutto e funghi è pigro. «Devi avere un carattere curioso e aperto alle novità...» dice lui spiazzandomi, mentre divora una fetta di quella prosciutto e funghi. «In che senso?» «Beh, hai scelto una tropical pizza... la pizza della casa» risponde con la bocca piena. «Anche tu...» gli domando, pensandoci su un attimo, «anche tu hai letto"Ti piace la pizza margherita? Allora sei mistico!"?» Sbottiamo insieme, in una risata incontrollata, guardando il misto schifoso di gamberetti kiwi mais e salamino che campeggia sulla pizza che ho davanti. «Però è vero» continua il tizio, smettendo di ridere. «E dài...» «Conoscevo un tale, sai di quelli che non degnano di uno sguardo il menu, e che fulminano il cameriere ordinando inevitabilmente una margherita prima che questi abbia ancora estratto penna e blocchetto...» «...» «...La margherita è proprio l'icona delle anime incerte, una pizza francescana nel vero senso della parola» continua. E conclude: «infatti quel tale si è fatto frate.» «E' uno scherzo?» «Mio padre...» e mentre lo dice, il tizio ha una faccia molto seria. «Mio padre prende sempre una pizza alle verdure... Infatti è una persona perennemente segnata dai sensi di colpa.» Il tizio si guarda un attimo attorno, in silenzio. «Va tutto bene?» chiedo. Lui fa cenno di sì. «Davvero?» "Davvero!» risponde perentorio, e tira su col naso. Qualche minuto dopo siamo fuori della pizzeria, per strada. Sono le due del mattino. La città, in questa notte di agosto inoltrato, non ha nulla di arrogante. Anzi, è pervasa da una dolcezza che scivola via leggera come la brezza estiva. Si sentono dei rumori strani, rumori che di giorno non si notano: piccoli resti di cose, rimaste indietro, che adesso si danno da fare per raggiungere l'alba e finire nel ventre del rumore del giorno. «C'è sempre qualcosa che si perde per strada...» dice il tizio all'improvviso. Intanto camminiamo uno di fianco all'altro, come due compagni di scuola che non si vedono da anni e una sera si incontrano per caso. Lì per lì è tutta una gran fatica, è un po' come viaggiare. E' bello però dopo, dopo averlo fatto, quando ci ripensi, quando il giorno dopo ti ritrovi, solo, a pensare alla notte prima, che tu eri là con lui a fare quelle cose e a dire quelle cose, soprattutto a fare quelle cose con uno che quasi sicuramente non vedrai mai più. «Sarebbe tutto più semplice...» gli rispondo, «se non ci avessero inculcato questa cazzata che tutto deve finire da qualche parte, tutte queste storie sulla strada, trovare la tua strada, andare per la tua strada... Pensa come sarebbe bello se potessimo essere felici rimanendo immobili, fermi lì a far passare la vita, e sarebbe un disastro se solo ce ne andassimo per la nostra strada, quale strada?» Alla luce dei lampioni che illuminano l'asfalto, la città scorre stanca davanti ai nostri occhi indifferenti. Per noi due, questa notte conta solo per la nostra voglia di appartenerci, anche se solo per la durata di una frazione, per la durata di una scopata rubata a questa notte di fine estate. Lo capiamo tutto d'un colpo - e nello stesso momento - in quel buio da notte agli sgoccioli, con l'intensità di chi si rende conto che non è più qualcosa che aspetta di partire, ma è una di quelle cose che ti tengono inchiodate alle radici, perché nessuno di noi due desidera più farsi portare lontano da qualcun altro o da qualcos'altro: desidera stare lì, solo con il desiderio che ci sta crescendo dentro, e che prima o poi ci terrà immobili per sempre. *** Mi alzo per andare in bagno che sono le cinque del mattino. E' l'alba, e fuori ci sono i primi rumori del giorno che salgono. Di là, sul suo letto, il tizio dorme tranquillo, rannicchiato tra le lenzuola. «Ti farò morire in un modo bellissimo» mi aveva detto non più di due ore fa, offrendomi la parte migliore di sé. Ed io, seduto su questo cesso che non è neppure il mio, non so far altro che pensare se andarmene o restare; in questo momento, che mi sento ancora addosso il suo odore e il mio sesso è ancora duro di lui. È strano quanto ci si dia da fare per trovare l'amore, e poi quando lo si è trovato, o sembra che sia così, quanto ancora ci si dia da fare per cercare marchingegni incredibili per farsi portare via, lontano. Stronzate, penso. E intanto sento salirmi dentro quella cosa che non mi piace; la conosco, e per questo non mi piace, quella specie di lontano rumore di disfatta. Già fatto, sbotto. Non è solo una cosa di sesso. Ma adesso in questo bagno, seduto su questo cesso, sono sicuro di riuscire a non provare più quegli istinti che mi portano lontano. Adesso, quella cosa sento che è diversa, sta cambiando dentro di me. Il sole filtra violento dalla finestra del bagno e non riesco a tenere gli occhi aperti. Mi sciacquo abbondantemente la faccia passandomi le mani bagnate fra i capelli. Il tizio è ancora là che dorme, abbandonato tra le lenzuola. In me, si risveglia un incontrollato bisogno di amarlo, di toccarlo, di baciarlo. Nico si gira, mi vede, abbozza un sorriso, e si lascia lentamente andare a tutto quello che stava per ripetersi. Ora siamo uno di fronte all'altro, e la sua lingua comincia a esplorare ogni centimetro quadrato della mia faccia, del mio collo, della mia schiena. Quando tutto il mio corpo chiede di essere soddisfatto di nuovo, mi abbandono completamente. E lui inizia a entrare dentro di me, e continua a penetrarmi fino a quando, sfiniti e esausti, veniamo sopraffatti dal più violento degli orgasmi. Di quell'amore che non ci avrebbe più portato a desiderare di andare lontano, a desiderare qualcun altro; quell'amore che non avrebbe più avuto bisogno di tradire, di provare emozioni diverse, perché si sarebbe cibato di quell'amore e ne sarebbe stato sazio all'infinito.
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