¬ SPAZIO AUTORE
 
¬ © COPYRIGHT
 

 

  Mariagrazia Tumbarello
  La casa colorata
Racconto [30]

[racconto per ragazzi]

     
--------------------
¬ COMMENTI [0]
--------------------
¬ TORNA SU
 

Il piccolo principe Otaroloc era, come tutti i principi della terra, molto fortunato: la sua famiglia possedeva infatti sconfinati territori e regni disseminati un po’ ovunque nel mondo. Il principino, che gia’ alla tenera eta’ di sei anni resto’ senza papa’che lo lascio’ con una mamma dispotica e dedita esclusivamente al comando, fu allevato nel segno dell’autorita’ e della forza.
La mamma amava ripetergli che tutti i re e i principi che si rispettino devono avere un cipiglio determinato e un contegno degno della loro condizione: i sudditi erano sudditi e dovevano obbedire, i regnanti erano nati per comandare e a loro si doveva rispetto e assoluta riverenza.
Cosi’ gli insegnamenti che ad Otaroloc furono impartiti dalla nascita e in questa atmosfera egli crebbe: forte della convinzione che a lui e alla mamma gli abitanti del suo regno erano tenuti a tributare una cieca e acritica forma di compiacente sussiego per la loro condizione di regnanti, egli impiego’ tutta la sua energia per rafforzare il suo carattere che per indole somigliava piu’ al mite papa’ ormai scomparso.
In pochissimo tempo, giusto il tempo di raggiungere un’eta’ adatta ad affiancare la mamma nel non semplice compito di governare, egli abbandono’ senza rimpianto scrupoli morali e convinzioni etiche, e si dedico’ all’arduo progetto di prendere le redini del comando: la sua determinazione a compiere il suo dovere e a seguire le direttive di mamma era talmente forte che egli si dimentico’ di tutto il resto e costrinse la sua giovane vita a piegarsi al volere di una mamma assetata di potere.
Egli sapeva bene che il suo carattere docile e mite mal si sarebbe conciliato con il proposito di governare quelle terre cosi’ immense e popolate; decise allora, su consiglio di mamma, di circondarsi di collaboratori che ne temprassero il temperamento e ne garantissero una decisa e risoluta azione di governo. Cosi’, tutti i santi giorni egli prendeva lezioni da loro: il mattino essi lo consigliavano su come trattare gli abitanti del regno con la dovuta freddezza e autorevole fermezza, il pomeriggio provvedevano a rimproverargli gli errori che aveva compiuto nella sua ingenua bonta’, la sera gli mostravano con esempi pratici la linea di comportamento da non abbandonare mai per garantirsi gli obiettivi di governo prefissati: le parole d’ordine erano sicurezza, durezza e determinazione assolute.
L’assiduita’ di questi incontri e la costanza con cui Ataroloc si prodigo’ per tener fede alla promessa fatta alla mamma di volgere la sua innata temerarieta’ in determinazione e coraggio fecero ben presto l’atteso miracolo: in poco tempo il giovane principe si trasformo’ nella fotocopia della mamma, una fotocopia senza sbavature, esattamente come lei da sempre aveva desiderato divenisse.
La mamma ritenne, considerati gli enormi progressi che vennero a prodursi nel carattere del figlio e vista la necessita’ di ritirarsi dalla vita di governo dato l’approssimarsi ad un’eta’ piu’ adatta al riposo che non al comando, di delegare ad Otaroloc tutti gli incarichi che ancora resistevano nelle sue mani:fu cosi’ che il principe, forgiato nel carattere e nella tempra, si trovo’ all’eta’ di 18 anni appena compiuti a dover attendere alla non semplice impresa di amministrare le sue terre.
Nonostante la giovane eta’ il principe riusci ‘ perfettamente nel compito prefissato: tutte le sue giornate egli le trascorreva a impartire ordini, a eseguire trattative di compravendita di terreni e abitazioni per estendere il suo dominio oltre i gia’ vasti possedimenti di cui godeva, a sedare rivolte, a mandare al diavolo sottoposti e collaboratori che osassero contraddire la dura e efficiente linea di governo.
Non conosceva il tempo libero, non aveva mai coltivato amicizie, mai aveva teso la sua mano per lambire quella di un’altra persona, mai una parola di riguardo o di gentilezza aveva sfiorato le sue labbra: lui era avvezzo solo a comandare, quella era la sola arte nella quale eccelleva, del resto poco gli importava. Nella sua solitudine egli si sentiva grande, insuperabile e anche per questo motivo il confronto con gli altri lo spaventava.
Comprendete bene che ad Otaroloc non mancava nulla: aveva attorno ricchezze immense su cui contare per l’intera esistenza, circondato da sudditi che pur non amandolo gli obbedivano ciecamente e la certezza che qualsiasi suo desiderio espresso si sarebbe senza difficolta’ tramutato in realta’.
C’era un pero’: Otaroloc non aveva mai sorriso in vita sua, non conosceva l’arte di muoversi a commozione e di mostrare i suoi sentimenti di felicita’. Cosi’ compreso nel suo ruolo di sovrano tutto d’un pezzo, aveva dimenticato di tenere aperta la porta del suo cuore ad ogni emozione, negandole con fermezza l’accesso nelle pieghe della sua anima.
Badate bene: qui non si sta parlando di ridere, ma di sorridere, che e’ una cosa ben diversa.
Ridere equivale a divertirsi, si ride di fronte a uno scherzo di un amico, ad una battuta ironica che ci coglie d’imppovviso; si sorride, invece, ad un neonato che ci suscita tenerezza, di fronte ad un tramonto colorato, o nell’intento di porgere una ciotola di latte caldo ad un gattino che ci fa le fusa.
Ebbene, ad Otaroloc tutto cio’ era negato: da che era nato, non aveva mai conosciuto questa dolce modalita’ di emozionarsi, il bello di farsi toccare l’anima da una sensazione di fresca gioia.
Forse a causa di questa sua difficolta’ ad aprirsi al mondo con tutto se stesso e senza paure, ad Otaroloc non era concessa la gioia di scorgere i colori, il mondo ai suoi occhi si riduceva all’unica alternanza del bianco e del nero, mentre le calde tinte della natura, il sole giallo, le foglie e i prati verdi gli erano completamente ignote. Non era al corrente del fatto che il mondo, la’ fuori del suo castello dorato, pulsasse di vita e brillasse di luce.
A lui interessava comandare e accrescere i confini dei suoi possedimenti, i colori e il sorriso che non accennava a far capolino dalla sua espressione vuota e triste non esercitavano su di lui evidentemente un interesse tale da indurlo a modificare il suo modo di vivere.
Neanche la sua mamma aveva mai avuto il privilegio di scorgere sul volto del figlio un accenno di sorriso e giunto Otaroloc alla non trascurabile eta’ di 18 anni e mezzo, quest’ultima non pote’ non dirsi preoccupata per questa stranezza di un figlio privo di emozioni
Pensa quindi sia giunto il momento di correre ai ripari: dopo aver chiesto con insistenza ai collaboratori piu’ fidati di intercedere presso il figlio affinche’ in lui potesse prodursi un accenno di sorriso e constatata l’inutilita’ dell’iniziativa che non conduce al risultato sperato, ella credette opportuno indire un bando regalo aperto alla sudditanza intera.
Il bando cosi’ recita: “Sua Altezza la Regina convoca con urgenza l’intera sudditanza interpellata a far sorridere il proprio figlio, il Principe Otaroloc. Si indice un concorso pubblico al fine di valutare tutte le proposte che giungeranno in tal senso.” Manco a dirlo, l’adesione al bando di concorso fu altissima e, dopo un’attenta selezione dei partecipanti, la Regina giunse alla scelta di quelle che, tra tutte, le sembravano le tre migliori proposte giunte. Sua Maesta’ promise ai prescelti che chi tra loro avesse raggiunto l’obiettivo desiderato si sarebbe garantito il premio stabilito: un appezzamento di terra tra i piu’ ampi esistenti nel regno.
L’impresa, avviso’ in anticipo la Regina, non era certo semplice, che’ si trattava di escogitare un modo per scuotere il Principe da un’apatia che lo avvolgeva ormai da tempo.
L’iniziativa della Regina ebbe una risposta molto consistente: furono piu’ di duemila i sudditi che si misero a disposizione della cortese richiesta della loro regnante, e lo fecero piu’ per il personale interesse di aggiudicarsi il premio in palio in caso di vittoria che non per reale interesse per le sorti del Principe che, beninteso, non aveva mai fatto nulla per farsi amare e benvolere da loro, ponendo scarsa o nulla attenzione ai loro bisogni e badando esclusivamente ai propri personali
Il suddito che si presento’ per primo ebbe la folgorante idea di presentarsi ad Otaroloc ricolmo di doni di ogni tipo: raggiunto il Principe con una carrozza zeppa di beni in oro, argento fino, broccati, quadri di pregio, cavalli di razza, certo con questa trovata di cogliere nel segno, realizzo’ presto che la sua iniziativa aveva mancato lo scopo: il Principe, infatti, peraltro gia’ abbondantemente provvisto di tutte le ricchezze che un intero popolo della Terra non potrebbe mai dir di aver posseduto nella sua intera esistenza, non mostro’ segni di cambiamento alcuno e anzi il suo fare mesto e abbattuto, se possibile, si approfondi’ ulteriormente.
Il secondo suddito credette di realizzare lo scopo desiderato strappando il Principe dalle sue quotidiane occupazioni e portandolo a zonzo per i luoghi piu’ incantati dell’universo cosi’ che la sua coscienza potesse trarne giovamento e ridestarsi dalla lunga, inspiegabile apatia in cui si trovava immerso.
In poco meno di due mesi al Principe furono mostrate tutte le meraviglie del mondo, non c’era luogo della Terra degno di essere visitato in cui non mise piede: dalle Alpi agli Appennini, dall’Emisfero Australe a quello Boreale, dalle lande semideserte della Nuova Zelanda alle coste inesplorate dei Mari del Nord per nuovamente ridiscendere a lambire gli splendidi atolli che degradano verso il Mar dei Coralli: mari e monti in lungo e in largo esplorati ma nessuna emozione a dipingere il suo volto ormai sempre piu’ segnato dalla tristezza e dalla totale sofferenza di vivere.
Il terzo suddito lo condusse con se’ presso i teatri piu’ alla moda dove erano di scena gli spettacoli piu’ interessanti e intensamente realizzati che mai si fossero visti, certo che quest’iniziativa non potesse non produrre il risultato atteso. Non si attendeva, il suddito, un’improvvisa propensione al sorriso ma almeno un iniziale processo che dall’apatia conducesse il Principe sul principio dello schiudersi di una seppur timida forma di gaiezza. Ma cosi’ non fu, nemmeno le esibizioni di scena sortirono l’effetto sperato, Otaroloc continuo’ a restare serrato con l’animo e il cuore al mondo, che non perse ai suoi occhi la sua fioca colorazione in bianco e nero.
La Regina non sapeva piu’ cosa inventarsi perche’ sulle labbra e nel cuore del figlio fiorisse la gioia di vivere e l’esistenza potesse apparirgli in tutto il suo splendore, la natura cangiante nei profumi che promanano dai fiori di primavera a schiudere i petali dopo il letargo invernale, le tinte calde dell’estate che si accavallano a quelle neutre e fredde dei mesi a seguire, il cielo che inaugurava il suo nascere nella bellezza del blu appena accennato e la chiudeva nelle sfumature del blu cobalto che tende a sera inoltrata alla piu’ cupa oscurita’.
Sembrava che tutto fosse perduto e che alla Regina non restasse che desistere dall’intento desiderato quando un giorno o, meglio, una notte, ad Ataroloc capito’ in sogno l’ultimo dei suoi servitori che cosi’ gli parlo’: “Sua Altezza Otaroloc, vorrei chiederle umilmente un piacere: io ho una figlia, Asor, che amo piu’ di me stesso, potrebbe cortesemente prendersi la briga di farLe visita di tanto in tanto cosi’ da farla sentire meno sola? Le chiedo scusa se mi sono permesso di importunarLa ma per me’ e’ veramente importante, se potesse darmi una mano gliene sarei grato.La ringrazio infinitamente. Il suo fedele servitore Oren.”
Ora, non si puo’ certo dire che queste parole lasciarono indifferente Otaroloc, ma dopotutto era consapevole che si trattava di un sogno, nulla di piu’ e decise di dargli il peso che meritava, senza troppo preoccuparsene o lasciarsi disturbare oltremisura dal suo contenuto. Continuo’ percio’ la sua consueta vita tra gli impegni di governo cui attendeva impeccabilmente, non facendosi piu’ di tanto influenzare dal sogno ne’ tantomeno limitare nei progetti reali cui continuava a dare l’esclusiva importanza di sempre.
Il fatto e’ che quel sogno, esattamente nelle medesime modalita’ con cui si era presentato la notte precedente, ritorno’ a fargli visita nelle notti seguenti, una notte dopo l’altra, il servitore a implorare il Principe di recarsi dalla figlia per recarle un poco di sollievo e il Principe che al risveglio con forza allontanava il ricordo di quell’insistente e strana visione notturna.
Tenacemente seguito’ ad occuparsi dei suoi affari ma l’insinuarsi continuo del sogno nella tranquillita’ delle sue notti comincio’ a turbarlo non poco cosi che inizio’ a desiderare di non addormentarsi piu’, cosa che ovviamente sarebbe andata a tutto scapito delle sue attivita’. Era talmente abbattuto che penso’ che il solo modo per far cessare quell’incomprensibile e indesiderata invasione notturna fosse di accondiscendere alla preghiera avanzata dal servitore nel buio delle sue notti: si risolse allora che il giorno seguente si sarebbe recato dal servitore per verificare l’esistenza della figlia e compiere il servizio richiesto.
La mattina di buon’ora fece chiamare presso di se’ il servitore e chiese conferma di quella figlia che cosi’ insistentemente era divenuta la protagonista dei suoi sogni: il servitore, quasi si aspettasse quella chiamata, per tutta risposta lo accompagno’ in una stanza buia, lontano dai principali locali del castello, dove, su un lettino spoglio gli mostro’ la sua unica figlia che giaceva inerme, con gli occhi semichiusi, un giaciglio che stringeva il cuore soprattutto se paragonato al lusso e lo splendore che tutt’attorno regnavano sovrani. Al principe si gelo’ il sangue alla vista di quella fanciulla e le domande che si era piu’ volte formulato dentro di se’ restarono inespresse fu l’atterrimento che quell’inattesa situazione provoco’ in lui. La sola cosa che all’istante riusci’ a fare fu di avvicinarsi a quella ragazza immobile e chiederle come stava, senza ottenere risposta. Il servitore si accosto’ umilmente al principe e ancor con maggior riverenza gli chiese se mai potesse recar un poco di sollievo, in qualsiasi modo gli venisse di pensare, a quella sua figliola sola, malata, cieca. Cosi’ si espresse il padre della ragazza, senza mezzi termini, a spiegare il motivo di quella seminfermita’ in cui ella si trovava e che tanto colpi’ il principe.
Il principe promise che avrebbe pensato seriamente ad una possibile soluzione e gliel’avrebbe comunicata il giorno seguente. A onor del vero, il principe si prodigo’ in mille modi per tener fede alla promessa fatta al servitore, evidenziando che non aveva del tutto smarrito la generosita’ e l’antica bonta’ che l’avevano contraddistinto prima di assumere il potere e cambiare radicalmente modo di vivere e priorita’ dell’esistenza.
Si era rivolto agli altri suoi aiutanti per sapere se avessero delle figlie piu’ o meno della stessa eta’ di quella del suo servitore ma senza risultati, aveva domandato consiglio ai suoi collaboratori ma non gli sembro’ che ne emergessero soluzioni interessanti, infine credette utile rivolgersi al Gran Ciambellano di corte che era noto per elargire sempre i migliori consigli a chiunque ne avesse bisogno. Nessuno fu in grado di prospettare al Principe una possibile e adeguata proposta, e fu cosi’ che si decise di recarsi personalmente dal servitore per comunicargli l’esito negativo del suo impegno.
Lo incontro’ personalmente nella stanza della figlia e non pote’ non notare la dedizione e l’amore con cui se ne prendeva cura tentando di alleviare per quanto possibile le sofferenze di quel corpo immobile: lui le teneva le mani tra le sue, le sussurrava parole di conforto, le porgeva cibo e acqua che la fanciulla avidamente portava alla bocca.
Il padre amorevolmente la accompagnava alla finestra da cui si godeva il meraviglioso spettacolo degli sterminati appezzamenti di terreno che cingevano l’immenso parco del castello e che erano visibili anche da quell’angolo remoto della misera abitazione del servitore e di sua figlia.
Cio’ che stupi’ enormemente il principe fu che la ragazza, nelle espressioni che usava quando si rivolgeva a suo papa’, non pareva affatto cieca, nelle sue descrizioni risaltava sempre un colore nuovo, un tono di vita che al principe era sconosciuto: lei era solita indicare al papa’ gli oggetti che diceva di vedere sottolineando con precisione che l’albero era verde, il sole giallo, le stelle bianco avorio, il cielo della notte nero scuro puntellato qua e la’ da radi puntini argentei che erano poi le stelle.
Il principe proprio non si capacitava di come potesse una ragazzina non vedente dalla nascita riuscire a raccontare i colori, mentre a lui che la natura aveva dotato di una vista normale fosse preclusa questa possibilita’ . La fanciulla si esprimeva con un tal ardore e un calore tali da contagiare perfino Lui, di solito cosi’ tiepido e poco incline a mostrare i propri sentimenti. Le parole di quella ragazzina indifesa avevano il raro dono di spargere attorno a se’ una luce nuova, un raggio di sole che si stagliava sulle pareti spoglie d’intorno e ritornava sulla strada dei presenti per riprendere il largo verso chi ne era stato l’artefice.
Le labbra della fanciulla si aprivano a raccontare le sue gioie; non era consapevole del fatto che anche il Principe fosse il testimone dei suoi racconti, per cui si sentiva libera di esprimersi in estrema e assoluta tranquillita’, certa che solo il padre potesse udire i suoi dettagliati resoconti.
E come indugiava con precisione sulle tinte cangianti della natura, sulle atmosfere del mattino che conferivano luce ai suoi occhi chiusi! Le sue labbra divenivano un’autentica porta aperta sul mondo, da esse si sprigionavano le meraviglie del creato che al Principe, pur vedente, erano negate per non si sa quale arcano motivo.
Il Principe non godeva di molto tempo libero per via dei suoi continui impegni di governo, ma appena poteva correva nella stanza del servitore per meglio tentar di capire il segreto che lui, ne era certo, doveva celarsi dietro il mistero della ragazza non vedente in grado di raccontare i colori.
E cosi’ le giornate del Principe trascorrevano tra i soliti impegni di governo e le pause che si concedeva presso la ragazzina: una mattina questa chiese al padre la cortesia di essere trasportata nel giardino circostante l’abitazione da dove avrebbe respirato un po’ di aria pulita, lontano dall’atmosfera triste della sua cameretta dove era solita trascorrere la maggiorparte del proprio tempo. Era un inizio di giorno fantastico, con il sole alto nel cielo, le nuvole rarefatte che lasciavano il posto al respiro d’aria tipico di inizio primavera che ospitava barbagli di luce costellata dagli uccellini rasenti alla linea d’orizzonte; su questo paesaggio che si mostrava in tutta la sua magnificenza si posava incuriosito lo sguardo attento e quasi riverente del Principe, generalmente intento a ben altre occupazioni ma che quel giorno appariva cosi’ distante dal suo solito abito esteriore fatto di superiorita’ e sicurezza.
Il Principe scese nell’immenso giardino di sua proprieta’ con il servitore e sua figlia e questa inizio’ a raccontare le meraviglie del creato che descriveva con tali precisione e cura da lasciare esterrefatto Ataroloc: la ragazzina narrava di un cielo blu limpido limpido, di un sole giallo come i limoni maturi, di uccellini a solcare la volta celeste con piume dai mille colori su cui si soffermava con dovizia di particolari che nemmeno un ornitologo avrebbe meglio saputo illustrare; dalla sua voce emergevano i toni sfumati dell’alba appena dischiusa che si rarefaceva per lasciare posto al deciso vigore del nuovo giorno, le cangianti tinte degli alberi che riempivano lo spazio circostante, perfino riferiva i colori dei fiorellini che spuntavano a ciuffi nella radura prospiciente il giardino in cui si trovavano.
Il Principe restava a bocca aperta, sempre, dopo queste descrizioni che avevano dell’incredibile date le condizioni di cecita’ della ragazzina: oltretutto, a fronte dell’abilita’ di quest’ultima di posare il suo sguardo dentro la profondita’ delle cose, degli oggetti e della loro intima essenza, corrispondeva per contrasto la propria impossibilita’ di accedere alla bellezza globale del mondo contrassegnata dall’incapacita’a scorgere i colori.
Il Principe era a dir poco incantato dalla grazia che scorgeva in quella fanciulla estasiata dal poco che le era concesso, se paragonato ai lussi e alle ricchezza di cui da sempre Egli godeva: eppure lei era felice o cosi’ appariva agli occhi del Principe, di fronte a Lui non aveva mai dimostrato dolore o contrizione per la propria condizione di non vedente, mai una lamentela era uscita dalla bocca di quella ragazzina sfortunata.
In uno dei giorni successivi alla splendida mattinata che trascorsero insieme nel parco, Asor espresse il desiderio di poter avere attorno a se’ alcuni dei tanti amici che da sempre erano soliti frequentare la ragazza. Il papa’, che la adorava, non pote’ che accondiscendere e nei giorni seguenti la cameretta di Asor fu letteralmente invasa dai suoi piu’ cari amici, tutti con la medesima malattia da cui era affetta anche lei.
Il Principe volle essere presente: la mattina di buon ora Asor, agghindata per le feste, si apposto’ presso il giardino del castello ad attendere la processione dei suoi amici, che si presentarono ognuno con un piccolo dono diverso: nessuno di loro aveva con se’ chissa’ che regalo prezioso, ma ciascuno aveva creduto bello recare un pensiero che colpisse al cuore la loro amica e cio’ aveva reso Asor ancora piu’ di buon umore di quanto non fosse solita essere per sua natura.
Quella mattina c’era il sole ed era alto e irraggiungibile nel cielo, questo era il commento della piccola, che probabilmente aveva desunto l’andamento del tempo dal calore che gia’ all’alba si diffondeva per la contrada lasciando sulla pelle e nello spirito il desiderio di affrontare la giornata con rinnovati vigore e armonia.
Asor domando’ al papa’ se potesse far preparare una veloce colazione per tutti e il Principe si disse disposto ad accontentare la richiesta della sua giovane amica: in men che non si dica fece imbandire una tavola lunga lunga con ogni leccornia pronta a soddisfare ogni tentazione culinaria dei presenti. Asor, per tutta la giornata, mantenne un sorriso radioso sul volto come se la sua malattia nemmeno la sfiorasse e intaccasse per un istante i pensieri: con estrema sollecitudine si dispose a servire i presenti elencando con precisione i cibi che andava a presentare agli amici, e ne descriveva con precisione la forma, l’aroma, il sapore agro o dolce; aveva una parola buona per tutti, li spronava a non cedere alla tristezza per la comune condizione di non vedenti, stringeva le mani dei suoi amici, accarezzava i volti delle sue piu’ care amiche, si muoveva con una tale disinvoltura e sicurezza da farla apparire una regina e non la figlia di un comune servitore.
Dopo colazione, volle donare agli amici un fiore colorato e, non sapendo dell’impossibilita’ del Principe a scorgere le tinte degli oggetti, chiese a lui il favore di accompagnarla nel parco a cogliere dei fiorellini di campo profumati: ma il Principe, che per la prima volta in vita sua avrebbe volentieri dato il suo aiuto disinteressato ad una persona senza desiderio di avere nulla in cambio, dovette spiegare alla ragazza la sua impossibilita’ad aiutarla.
Non crediate che Asor si dette per vinta: il Principe la accompagno’ nel parco dove un tappeto d’erba fiorita puntellata qua e la’ da una folta vegetazione sparsa dappertutto a tappezzare l’immenso verde circostante si stendeva a perdita d’occhio.
Fu Asor a narrare al Principe la sua passione sconfinata per la natura, per i fiori dai mille profumi, per l’atmosfera struggente che sempre la emozionava quando, nella bella stagione, era libera di scorrazzare per i prati e ascoltare il fruscio del vento tra i capelli e il lieve olezzo che si sprigionava dallo stendersi delle rose appena uscite dal letargo invernale.
E fu sempre la ragazza a spingersi laddove sentiva crescere i fiori che cercava: il Principe proprio non riusciva a capacitarsi di come potesse con tale scioltezza e sicurezza avvicinarsi alle dalie, ai rododendri, alle margheritine e saperle distinguere addirittura in lontananza. Lei tranquillamente spiego’ che la sua cecita’ non le aveva affatto impedito di vedere, o almeno di vedere il mondo con altri occhi, non quelli con cui si e’ soliti scorgere la realta’ circostante.
Spiegava che la sua infermita’ aveva avuto il pregio di farle puntare l’attenzione su aspetti della vita che lei considerava fondamentali: non vedere aveva significato per lei prodursi nella ricerca di caratteristiche della propria personalita’ che prima della cecita’ non sapeva nemmeno di possedere: prima di ammalarsi Asor non conosceva la vera ricchezza che le era stata data, vedere la natura, gli alberi, il mare nel suo nitore erano considerati aspetti scontati del vivere comune su cui non si e’ affatto portati a riflettere e che si accolgono senza gioia o accompagnati dallo stupore di un dono che e’ invece immenso. Fu solo con il presentarsi della malattia che ad Asor fu piu’ chiara l’immensa fortuna di cui gli esseri umani sono destinatari senza quasi rendersene conto e senza mai, per cio’, sentirsi grati a Qualcuno che aveva saputo dispensarne a piene mani.
La malattia, che chiaramente Asor aveva accolto con tristezza e mestizia comprensibili per chi, come lei, aveva avuto il pregio di essere nata e vissuta per alcuni anni in modo assolutamente normale, in seguito divenne occasione per condurla sulla strada di un progressivo arricchimento di altre qualita’ che nemmeno sospettava di possedere: tolta di mezzo la possibilita’ di vedere con gli occhi, Asor si rese conto che i suoi organi malati non erano affatto gli unici deputati alla comprensione della realta’ e cosi’ affino’ altre doti. Impossibilitata per sorte naturale a osservare la superficie delle cose, si mise a rimirarle con il cuore, con l’anima. Dei fiori che tanto amava non poteva piu’ scorgere le tinte vagheggiate e il cui ricordo sbiadito ella serbava dentro di se’, ma era in grado, ora piu’ di prima, di assaporare il profumo che esalava dal gambo fiorito e dai pistilli odorosi; attraverso il suo tocco gentile, poi, ella poteva gustarne le proprieta’ di delicatezza o sentirne la leggere ruvidita’ impossessarsi dello stelo ritto.
Cosi’ come per gli elementi della natura, allo stesso modo per gli altri aspetti della vita: il pane appena sfornato aveva si’ smarrito per lei le antiche proprieta’ di colore e di forma, che ahime’ non poteva piu’ scorgere come prima, ma che aveva nel tempo imparato a sfiorare con le mani, a percepirne il tocco fragrante e odoroso che le apriva lo stomaco di ritorno da una passeggiata con il papa’ nei boschi attigui alla proprieta’ principesca.
Degli amici manteneva il ricordo vivo della forma degli occhi, del colorito dei capelli, della carnagione del volto, ma solo dopo la malattia ella aveva compreso la straordinaria dote di accarezzare i capelli di ognuno, di ascoltarne la tristezza che traspariva grazie a una particolare forma di sensibilita’ che si era sprigionata in lei quasi per una sorta di compensazione per la smarrita facolta’ visiva.
I colori, poi, le sembravano piu’ veri e autentici ora che non poteva scorgerli con gli occhi: ella sapeva indovinare le tinte degli oggetti dal loro profumo, cosi’ si esprimeva Asor: ed ecco che il Sole non poteva che essere giallo fuoco, le stelle azzurro candido, il pane appena sfornato dei toni biscottati, le rose rispettivamente rosse, bianche o gialle in base al profumo che emanavano.
Al Principe sorgeva spontaneo il confronto tra se’ e Asor: per un arcano e incomprensibile disegno del cielo, a lui erano negate le gioie che ad Asor erano invece concesse, nonostante la patologia che colpiva la fanciulla e lo stato di normalita’ che avrebbe dovuto permettere al principe una vita assolutamente normali.
Quel che sapeva, il Principe, era che quando si trovava in compagnia di Asor stava bene, era sereno, le preoccupazioni quotidiane che lo assalivano svanivano di colpo quando poteva godere della vicinanza della fanciulla. Anche in quel preciso istante in cui si trovava con lei, gli sembrava che la natura gli sorridesse, che il sole brillasse piu’ del solito e che l’atmosfera d’intorno assumesse i toni accesi che da tempo ormai non era in grado di scorgere; la voce di Asor sembrava avere su di lui un enorme potere, quello di ridestarlo da un lungo sonno che sembrava avvolgerlo da lungo, da troppo tempo ormai: era come se un velo si squarciasse piano piano dal suo cuore e dalla sua anima e che, sollevandosi dolcemente, ponesse in evidenza quelle qualita’ che il Principe aveva scordato di possedere.
Nella passeggiata per il parco, Asor, ad un certo punto, con estrema naturalezza, poso’ il suo capo sulle spalle del Principe con l’intento di sostenersi a lui e fu in quel preciso istante, non si sa come ne perche’, che al Principe, d’un tratto, parve che i pallidi contorni con cui il mondo circostante era solito apparirgli guadagnassero un po’ dell’antico colore che da tempo non sapeva piu’ scorgere.
Da principio, fu soltanto un’impressione, poi divenne chiaro che tutto, d’intorno, respirasse un’aria nuova, una luce diversa e che le tinte appartenenti al mondo si riappropriassero delle loro sedi naturali: le querce divennero ai suoi occhi di un verde chiaro, appena accennato, il sole torno’ a splendere anche se solo con un velo che occultava il prorompente giallo paglierino, le rose pian piano si ripresentarono nelle loro vesti colorate...fu con una certa difficolta’ e con non poca incredulita’ che il Principe si riaccosto’ alla nuova realta’, dopo che a lungo era rimasto sottratto dai colori della vita, ben consapevole che per concludere un cammino di riaccostamento al pulsare dell’esitenza gli sarebbe costato tempo e fatica, considerata la sua lunga permanenza in quel mondo che ormai da trroppo tempo aveva perduto vitalita’ e gioia.
Quando Asor depose le sue mani in quelle del Principe, questi non pote’ che notare un ulteriore miglioramento delle sua abilita’ visive, come se il residuo di nebbia che da tempo ai suoi occhi si era depositata sugli oggetti intorno si dileguasse d’incanto e, diradandosi nell’aria, si spegnesse nell’attimo stesso della dispersione intorno. Fu come un miracolo, come ritornare a respirare l’aria fresca di primavera, assaporare il gusto del gelato buono che i bambini con avidita’ cercano, osservare un tramonto con i toni che approdano al giorno successivo. Eppure ad Otaroloc era chiaro che il processo di guarigione non era completato del tutto, in quanto gli era palese che residuavano ancora alcuni colori alla sua possibilita’ visiva: il rosso, ad esempio, proprio non riusciva a scorgerlo, cosi’ come il blu cobalto e in generale tutti i colori accesi erano tuttora preclusi alla sua visione.
Intanto guardava la dolce Asor e in lui inizio’ a sorgere un sentire nuovo: a mano a mano che le nuove, dolci sensazioni si erano impadronite del cuore del Principe alle quali egli piano piano aveva smesso di opporre resistenza, anche i colori presero a farsi piu’ nitidi e piu’ evidenti ai suoi occhi.
Era come se i nuovi sentimenti di amicizia e tenerezza cui egli aveva saputo far spazio dentro di se’ avessero messo in moto un cambiamento nella sua personalita’ tale da produrre il miracolo della vita che da tempo attendeva ma che mai era riuscito a realizzare.
Asor all’improvviso, inaspettatamente, proruppe in un pianto cosi’ lungo e doloroso, quasi convulso, da suscitare nel Principe il desiderio di consolare quella fanciulla tenera e indifesa; senza pensarci due volte e senza far caso alle differenze di status sociale che inevitabilmente gli avrebbero suggerito di mantenere la debita distanza tra se’ ed Asor e a cui Ataroloc era solito riferirsi nelle svariate occasioni sociali in cui si veniva a trovare, il Principe accolse tra le sue braccia la ragazzina e le chiese in che modo avrebbe potuto esserle utile e come poterle in qualche modo alleviare il dolore di cui quelle lacrime erano l’evidente sintomo.
Asor sulle prime sembrava non disposta a voler confessare la sua amarezza, ma la pazienza e dolcezza del Principe la indussero a chiarire il motivo della sua angustia: la ragazzina, com’era ovvioe comprensibile, sentiva il profondo desiderio di tornare a vedere, di gustare di nuovo con i suoi occhi lo spettacolo indimenticabile di un’alba fiorita, di un tramonto dai mille colori, le sfumature cangianti dei fiori che le si paravano dinnanzi, il volto del papa’ che adorava ma i cui lineamenti erano solo un pallido ricordo; ammise anche la volonta’ di poter tornare sulla tomba di mamma, morta quando lei era solo una bimba, e rivederne scolpita sulla lapide i lineamenti del volto, le tracce di una giovinezza spentasi troppo presto, il contorno dei suoi occhi che lei mai aveva dimenticato e che tenacemente erano rimasti al chiuso della propria anima e del proprio cuore da dove avevano continuato a sprigionare il loro costante richiamo di amore e tenerezza che il tempo non aveva saputo piegare ma anzi aveva contribuito se possibile a rendere ancor piu’ efficacemente presenti, seppur in una forma necessariamente mutata.
Asor non si limito’ a circoscrivere il suo desiderio solo alla propria persona ma si permise di farsi interprete della volonta’ dei suoi amici nelle sue stesse condizioni.
Non disdegnava affatto la modalita’ con cui fino a quel momento era riuscita con buoni risultati a sopperire al suo deficit visivo, che’ anzi guardare le cose nelle loro profondita’ e scorgerne dimensioni e caratteri sconosciuti, notarne la segreta essenza era fantastico e le aveva permesso di scoprire una realta’ ignota ai piu’; sapeva pero’ anche che le mancava tanto poter ricostruire il mondo con i suoi lineamenti di sempre, riuscire a dare un volto appropriato alle immagini che si era spesso costruita nella mente ma che continuavano a restare fuori dall’anelata esperienza della visione propriamente intesa.
Il Principe avrebbe tanto voluto trovare le parole adatte per dare un po’ di calore a quel pianto sommesso e senza posa, ma sapeva che comunque avesse agito, cio’ non avrebbe che approfondito la consapevolezza del dolore senza rimedio che la ragazza piu’ e piu’ volte aveva, invano, cercato di allontanare da se’.
Di ritorno da quella passeggiata rimugino’ tra se’ e se’ le possibili soluzioni al caso di Asor e, tra le molteplici che si offrirono alla sua coscienza, ce ne fu una che si propose di tenere in particolare considerazione: credeva potesse essere buona cosa informarsi presso i migliori medici della zona affinche’ trovassero un efficace rimedio alla cecita’ della giovane.
Il mattino seguente, senza nulla rivelare ad Asor perche’ non si creassero in lei dannose aspettative magari mal riposte, Ataroloc prese a contattare i piu’ noti oculisti della contrada, ognuno dei quali chiese espressamente di poter sottoporre a visita la giovane cosi’ da realizzarne le effettive condizioni e affidarla alle cure piu’ appropriate.
Fra tutti i medici che visitarono Asor, ce ne fu uno che, piu’ degli altri, sembro’ far colpo sul Principe: questi, sulla base delle risultanze emergenti dalla visita recente, credette utile consigliare il ricovero della ragazza in un centro specializzato in diagnosi e cura della cecita’ da cui era affetta.
Mise a disposizione del Principe una serie di indirizzi dei centri piu’ attrezzati e con maggiori possibilita’ di riuscita per casi come quelli della ragazzina: Ataroloc non perse un minuto e si mise in contatto con i tre centri dal medico indicati come i migliori.
Nell’attimo stesso della risoluzione, un lampo veloce illumino’ d’un tratto la sua mente e con altrettanta fulmineita’ vi si arresto’, scavando dentro di lui, insesorabile e inattaccabile, la certezza di un’altra strada da percorrere, di una via nuova, estranea ai propositi fino ad allora maturati: avrebbe Lui aperto un centro specialistico del genere di quello che andava cercando per la dolce Asor, vi avrebbe impiegato i bravi medici che affannosamente si era prodigato a contattare e reso cosi’ concreta la possibilita’ di curare definitivamente la malattia della ragazza.
Sapeva pero’ che per realizzare questo obiettivo egli avrebbe dovuto trascurare, e non di poco, tutti gli affari di governo che dipendevano in larga misura proprio dalla sua volonta’ e attivita’.
La medesima velocita’ con cui il precedente proposito di aprire il centro specialistico le si era presentata torno’ a farle visita ora, quando il Principe comprese che il solo modo per raggiungere il suo obiettivo e contemporaneamente evitare di contavvenire ai propri obblighi di regnante sarebbe stato quello di abdicare: non sapeva nemmeno come questa idea si fosse impadronita di lui, proprio di lui che sempre aveva vissuto con il senso del dovere fortemente radicato in se’ e senza che mai l’impulso ad abbandonare i propri interesse l’avesse nemmeno sfiorato.
Eppure per la causa di Asor, non poteva nemmeno lui spiegarsi ne’ come ne’ perche’, avrebbe di buon grado abbandonato tutto alle sue spalle; cosi’ aveva deciso, avrebbe presto parlato alla madre dei suoi propositi e chiesto a lei e ai suoi collaboratori di prendere il suo posto nelle decisioni di governo che erano fino ad allora rimaste strettamente nelle sue mani.
La mamma, come lui immaginava, ando’ su tutte le furie ad ascoltare la decisione di suo figlio, che egli’ defini’ irrevocabile e irrinunciabile e che continuo’ a mantenere ferma e solida perfino di fronte alla promessa della mamma di diseredarlo una volta che avesse pensato seriamente pensato di dar seguito concreto ai suoi propositi.
“Ebbene, diseredami pure!” fu il semplice, laconico commento a chiusura del dialogo tra Otaroloc e la mamma, che egli pronuncio’ a fior di labbra mentre si accingeva a lasciare nero su bianco le sue volonta’, che prevedevano il passaggio di consegne alla mamma e ai suoi aiutanti piu’ fidati e la rinuncia ai beni che di diritto gli sarebbero spettati come principe regnante delle sue imense terre. Solo reclamo’ il possesso di alcune proprieta’ i proventi della cui vendita gli avrebbero permesso di acquistare l’area su cui edificare l’alloggio per la cura delle malattie agli occhi.
Chiuse definitivamente i rapporti con la mamma, con cui non volle piu’ avere nulla a che fare e si mise alacremente a disposizione della realizzazione della casa di cura che nel volgere di breve tempo fu pronta e pote’ accogliere tutti i non vedenti della contrada e delle contrade limitrofe.
L’edificio fu allestito con la collaborazione dei migliori architetti della zona che improntarono la struttura a criteri di perfezione formale e funzionale, predisponendo tutte i confort necessari per rendere abitabili e gradevoli i locali e adibirli con ogni cura possibile allo scopo di cura per cui erano stai previsti e realizzati.
Asor era fuori di se’ dalla gioia, lacrime copiose le rigavano il viso per la felicita’ che non riusciva a trattenere stretta dentro di se’ ma necessitava di uno spazio esteriore cui manifestarsi, avrebbe desiderato abbracciare il mondo intero, volare sulla luna per confidarle la sua rinnovata armonia, stringere il Principe e confessarle i suoi nuovi, inattesi, sentimenti.
Fu il Principe a prendere l’iniziativa di correrle incontro e rivelarle il suo bene, quest’amore che non aveva mai conosciuto e che gli aveva consentito per la prima volta in vita sua di scrutare la vita con occhi diversi e poter finalmente accedere al segreto dell’intimo delle grazia della natura che si esprime attraverso i suoi colori, la sua cangiante e rumorosa vitalita’.
Il centro fu subito aperto e reso disponibile ai malati che desiderassero beneficiare delle cure offerte: il servizio era completamente gratuito, il Principe non necessitava di entrate ulteriori rispetto alla liquidita’ che gia’ disponeva ricavata dalla vendita dei suoi beni immobiliari, con cui avrebbe potuto garantirsi un’intera esistenza e piu’ di giorni sereni e senza difficolta’ di alcuna natura.
Pose Asor a dirigente della struttura, carica che lei seppe condurre con estrema abilita’ e sollecitudine favorendo il percorso di guarigione di molti malati e anche di se stessa, che miglioro’ notevolmente e fu presto in grado di distinguere i contorni delle figure del mondo che erano solo trame vuote quando il buio era solito avvolgere le sue giornate.
Il Principe domando’ la mano di Asor che prontamente accetto’ la proposta di matrimonio...il giorno delle nozze si svolse alla presenza degli ospiti del centro e fu all’insegna dell’assoluta semplicita’ e frugalita’: come dono l’improvvisa esplosione della vista per i coniugi, e con essa, della vita, che ritorno’ a splendere sotto gli occhi peplessi e felici del Principe e di Asor. I due innamorati presto allargarono la famiglia di ben 6 pargoli, cui fu imposto ad ognuno un nome coloratissimo: Viola, Verdiana, Azzurra, Rossana, Chiarissima, Nerina.Le pareti del centro vennero prontamente dipinte dei toni colorati dell’arcobaleno.
Gli amici di Asor fecero appendere a suggello di quella giornata memorabile di svolta una ghirlanda dai mille colori che serbasse il ricordo dei nuovi istanti di felicita’ che la strada appena imboccata dagli sposi avrebbe loro donato su atmosfere di gioia infinita.
I nomi dei protagonisti di questa vicenda assunsero presto, una volta operato il miracolo, la loro forma originaria, che nel tempo si era scomposta finendo per ribaltarne lettere e senso: Asor si fece Rosa, il padre Oren fu finalmente chiamato con il suo nome, Nero, e il Principe, d’incanto, perse l’appellativo sgangherato di Otaroloc che si tramuto’ in Colorato: il cambiamento della vita interiore di ognuno aveva fecondato anche la modifica delle rispettive forme di riconoscimento, ravvisabili attraverso il nome di battesimo, con cui ognuno si presenta al mondo.
Fu il miracolo dell’amore a muovere la vita dei due giovani che da quel momento in poi mai si dimenticarono di tributarsi vicendevolmente il loro grazie per l’esistenza tutta nuova che si erano gratuitamente donati e che, si promisero, avrebbero vissuto con tutta l’energia di cui avrebbero disposto di li’ all’eternita’.

 

   
    ¬ INVIA UN COMMENTO    
www.isogninelcassetto.it è un dominio registrato - update: 06/02/2009
© nome e logo depositati - sono vietati l'utilizzo e la duplicazione senza autorizzazione degli aventi diritto
sito amatoriale senza scopi di lucro, autofinanziato e autogestito in modo non periodico