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  Claudio Santilli
  La fuga
Racconto [11]

 

     
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GLI INFERMIERI avevano cercato di fargli capire che quella era la sua ultima possibilità. Troppe volte aveva tirato la corda, e ormai tutti erano giunti al limite dell'esasperazione. I genitori avevano paura di restare soli con lui, a volte diventava aggressivo, gridava e minacciava chiunque gli si avvicinasse. I medici del Centro di Salute Mentale avevano provato a cambiargli la terapia più volte, avevano aumentato i dosaggi, lo avevano inserito in programmi di riabilitazione, in certi momenti sembrava che il suo recupero fosse a portata di mano. Fin quando non arrivavano le ricadute, le voci gli entravano nella testa e non cessavano mai di gridare, i pensieri lo avvolgevano come un manto freddo e penetravano negli organi più profondi. Avvertiva che il cerchio si stava stringendo intorno a lui, gli infermieri erano stati chiari.
"La prossima volta che fai casino dobbiamo portarti in ospedale, dobbiamo ricoverarti!".
Già, facile parlare così, per voi che non siete mai stati impotenti di fronte ad una realtà che per tutti non esiste, ma che domina e decide al posto vostro.
Bisognava fare qualcosa, li sentiva sempre più vicino, il fiato sul collo, lo avrebbero ricoverato e gli avrebbero somministrato sedativi, le voci se ne sarebbero andate ma lui avrebbe perduto sé stesso. Era già capitato e ne portava ancora i segni, come quella cicatrice sul braccio che si era procurato tirando un pugno sulla vetrata della mensa, in ospedale, quel giorno in cui non voleva la pasta scotta e fredda.
Non poteva finire di nuovo così, lui non lo avrebbe permesso.

Quella notte aspettò che i suoi genitori si addormentassero, se ne sarebbe andato anche per loro: soffriva davvero nel trattarli male, ma spesso non riusciva a fare diversamente, era l' unica possibilità che aveva per non crollare. Gridare, buttare in aria gli oggetti, spaventare chi lo circondava diventava a volte una via di fuga per evadere dalle macchinazioni del suo cervello. In questo modo faceva sì che i sensi di colpa lo rodessero a tal punto da sopraffare persino i suoi pensieri.
Quando la notte divenne fonda e la luna si perse dietro le nuvole, prese le chiavi della macchina del babbo e se ne andò. Guidò a lungo, accese l'autoradio e mise una musica italiana degli anni '60. Non voleva prendere autostrade, le temeva, gli facevano pensare ai collegamenti delle varie zone del corpo, alle arterie, ai nervi, e avrebbe potuto sentirsi come una cellula, invece ora voleva vivere, essere un uomo completo.
Iniziava ad avere fame, mancavano pochi chilometri per un paesino di cui non aveva mai sentito il nome. In fondo era la prima volta che si allontanava così tanto. Entrò nell'unico locale della piazza al centro del paese, si sedette ed ordinò da mangiare. C'era poca gente, una cameriera che fumava una sigaretta facendo palloncini con un chewing-gum, un signore che giocava al videopoker, due camionisti che divoravano una bistecca.

"Amico, posso sedermi?".
Si voltò e vide in piedi davanti a lui un vecchietto con la barba ed una bottiglia di wisky nella mano. Il vecchio, sorridente, si presentò. Con una voce roca e l'alito alcolico raccontò di essere un fuggiasco, di aver rapinato un ufficio postale e che ora la polizia era sulle sue tracce. Non era solo, fuori dal locale sua nipote lo stava aspettando. Lui era un vecchio ubriacone, non aveva importanza cosa gli sarebbe successo, ma non avrebbe permesso che alla ragazzina fosse fatto del male. Era vissuta con lui da quando la madre era morta. Non aveva avuto intenzione di coinvolgerla, ma lei ora si trovava in pericolo, se la polizia l'avesse trovata con lui sarebbe stata considerata una complice. Lo pregò di prenderla con sé e di portarla in un posto ad un centinaio di chilometri di distanza, dove viveva suo fratello, che si sarebbe preso cura di lei. Lui ci rifletté, era indeciso, poi guardò attraverso la vetrata del locale e vide una bambina impaurita, vestita di stracci.
Accettò di accontentare il vecchio.

Il viaggio fu piacevole, la ragazzina era simpatica e lui, per la prima volta in vita sua, sentiva di essere utile a qualcuno, di valere qualcosa. Lei gli confidò di non aver mai fatto un bagno al mare, così a lui venne spontanea l'idea di farle questo regalo, in fondo la costa era vicina. Fecero una deviazione e arrivarono sulla strada che fiancheggiava la spiaggia. Scesi dalla macchina entrambi corsero filati verso l'acqua e si buttarono.
Lui non aveva mai visto una gioia così profonda come quella che si leggeva negli occhi di lei, era davvero felice.
Mentre stavano risalendo sul bagnasciuga sentì delle sirene in lontananza, il sospetto si trasformò subito in realtà: due volanti della polizia si fermarono ai bordi della strada, scesero dei poliziotti, col megafono intimarono ai due di mettere le mani bene in vista. Lui obbedì e si voltò verso la ragazzina, ma in quel momento si accorse che lei aveva cacciato dalla tasca una pistola. Il poliziotto col megafono ordinò di gettarla per terra o avrebbe sparato, lui gridò con tutta la forza che aveva:
"E' SOLO UNA BAMBINA!".

Lei puntò la pistola contro i poliziotti e questi fecero fuoco. La decisione fu presa rapidamente, il tempo di una scintilla negli occhi e si gettò davanti a lei.
Sentì appena il bruciore nel petto, sperò di aver salvato quella vita innocente, e cadde.

 

   
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