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FRANCO taceva. Guardava in silenzio e sembrava neppure ascoltare. Guardava fuori dalla finestra, lontano verso il bosco che gli appariva ancora una volta uguale a sempre. Uguale a quando lui era bambino e lì, con la madre, veniva a passarci le vacanze estive. A Luca la cosa sembrava non importare più di tanto. Almeno dava questa impressione a vederlo in faccia. Del resto lui era un tipo sbrigativo. Più concreto dell'amico. Lo si intuiva già dalla prima volta, qualche mese prima, da quando si erano trovati in treno e subito piaciuti proprio per questa loro diversità nel disporsi nei confronti della vita. O meglio, nei confronti della consuetudine. "Lo sai cosa significhi per me" continuava Franco dopo un po'. "Sei il mio migliore amico. E' più che essere il migliore degli amanti…" Fuori albeggiava quando, il mattino dopo, Franco si svegliava nello stesso letto. La stanza iniziava a splendere di luce riflessa. E lui si scopriva muto a fissare l'amico. Aveva anche la netta sensazione che il suo corpo si fosse staccato dalla testa e svolgesse il suo compito comandato da un pilota automatico fuori di lui. Proprio così, Luca era speciale. E Franco se n'era innamorato con la violenza che avrebbe spaventato chiunque. Ma lui no. Lui invece sapeva di aver trovato nell'amico il corpo e l'anima che lo ricompensavano di tanta attesa. Di lunghi anni passati nella sofferenza a cercarli, quel corpo e quell'anima. E quella mattina lì a letto con l'amico, per la prima volta nella sua giovane vita, si sentiva finalmente appagato di essere gay. A un certo punto Luca gli si faceva ancora più vicino. Gli prendeva la mano e se la portava lentamente sul naso e poi sulla bocca.
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