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  Marniko
  E si trovò nuovamente solo
Racconto [62]

 

     
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A LUI piaceva stare là così, a pensare alla morte. Lo faceva stare bene. Se lo diceva ogni volta, anche se la cosa gli appariva alquanto stravagante.
Era come guardarsi allo specchio e osservarsi attentamente, con quella forma maniacale che gli apparteneva sin da bambino.
Sapeva di essere diverso dagli altri suoi coetanei. Però non gli importava. Anzi più se lo diceva, di non assomigliare loro affatto, e più si convinceva che il sentirsi diverso dentro era una sensazione lontana, che non poteva allora comprendere appieno ma sentiva crescergli dentro con il passare degli anni.

Anche quel pomeriggio piovoso ai primi di novembre, chiuso nella sua stanza con un album dei Cure diffuso a palla dallo stereo, gli occhi puntati al soffitto macchiato dall’umidità e scrostato in più punti, sdraiato di traverso sul letto egli pensava alla morte. Pensava a quanto bello sarebbe stato varcare il confine assoluto e smarrirsi nella cupa trasparenza dell’aldilà. E nella fantasia egli immaginava la morte così: un ragazzo dagli occhi neri e i capelli corvini, esile e dinoccolato; e si vedeva insieme a quella figura percorrere i paesaggi eterei e grigi del punto di non ritorno, tenendosi per mano.

Già, il punto di non ritorno. Egli amava il punto di non ritorno. Come desiderava il ragazzo dagli occhi neri, che aveva profondi e ampi in quel viso scavato nei tratti. Dio, come gli piaceva fissare nella mente le emozioni di quei momenti di abbandono… Di tanto in tanto si infilava la mano dentro ai jeans. Si toccava e piangeva. Era un pianto rivolto più verso dentro che verso fuori: il segno grande e luminoso di un amore, “come una cosa viva, lanciata a bomba contro l’ingiustizia”. [da "La locomotiva", Francesco Guccini]

All’improvviso egli sentì per la prima volta che il desiderio di morte di tutti i giorni sublimava qualcosa di più ampio, di largo respiro: il desiderio di sesso. La voglia inconfessabile di lasciarsi possedere dal ragazzo dagli occhi neri, emblema della vita nella morte. E nella sua immaginazione, nel metterlo a fuoco meglio, quel ragazzo assomigliava sempre più a Brandon Lee nel film Il Corvo; e si vedeva con lui, accompagnati da un magico corvo nero nel loro procedere nell’oscurità.

A tratti egli fantasticava persino di sentire il calore del corpo del ragazzo; ne avvertiva addirittura l’odore. La passione con la quale allora immaginava di passargli la mano tra i lunghi capelli corvini era qualcosa di concreto, ch’egli percepiva in tutta la sua interezza. Più di una volta si sentirà invadere dalla consapevolezza di una complicità spietata, dalla gioia inquietante di provare un’intesa. Avvertirà anche la carezza ritmica del piacere, la carica erotica che toglie il respiro, lo spasmo che dissolve individualità e memoria…

Fu allora, nell’istante sublime rubato all’eternità, ch’egli fu certo di stringere a sé il viso del ragazzo e gli si appoggiò cercando la dolcezza dell’antico rifugio, del contatto più del desiderio. E tutto si presentò in un baleno alla sua mente: i ricordi della sua diversità, lo spirito di rivolta, l’odio implacabile nei confronti di un mondo fuori incomprensibile e improbabile esattamente come il suo mondo dentro, altrettanto incosciente e ingannatore… A un tratto il frastuono da discoteca della stanza di colpo si arrestò.
Intorno ogni cosa aveva iniziato a sostituirsi alla precedente, in un vorticoso rincorrersi. Tutto si stava frantumando in immagini che nascevano per iperbole caleidoscopiche.
Il corvo aveva nel frattempo spiccato il volo e le struggenti memorie d’amore lasciarono il posto a oscillanti sensazioni di vuoto.

Egli urlò sobbalzando sul letto. Sudato, sfinito.
La coperta era stropicciata e i cuscini erano uno sopra l’altro. E sul lenzuolo gli parve di intuire vagamente il profilo di un corpo.
Si guardò in giro: tutto era dannatamente consueto.
Forse era stato un pensiero apparsogli in sogno. Solo un pensiero che improvvisamente si era dileguato al risveglio… E si trovò nuovamente solo.

 

 

   
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