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  Guido Marinelli
  Volevo solo diventare uno scrittore
Racconto [13]

 

     
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A volte le cose non vanno come avremmo voluto.
Io volevo solo diventare uno scrittore.
Ma dopo quella giornata capii che era impossibile.

Agnone. Anonimo Agglomerato Altomolisano, Abitanti: 6000 circa.
Più precisamente, Liceo Scientifico Giovanni Paolo I, corridoio del 2°piano, ricreazione.
L'unico momento in cui folle di ragazzini del biennio, dai volti ancora segnati dalle occhiaie delle ore piccole e da profonde lezioni di letteratura latina, svuotano le poche e malmesse aule.
Si riversano d'impulso per il lungo corridoio, vagando senza scopo, raccolti in branchi omogenei.
In questi attimi tutto è lecito, tutto è concesso, non esiste nessuna legge di Dio o degli uomini che possa placare i loro animi.
La distruzione è alle porte. L'anarchia domina incontrastata.

Eppure, di anarchici, di rivoluzionari, non c'è n'è nessuno! Magari si potesse ammirare qualcuno fuori dal normale, qualche punk dalla capigliatura ridicola e dallo sguardo incazzato, qualche timido metallaro dal braccio completamente borchiato, con la seconda pelle di cuoio nero luccicante, qualche rocker capellone assuefatto dagli spinelli, qualche dark asociale con il trucco pesante, qualche tecnoboy, qualche rastafari, qualcuno... diverso dalla folla, da tutto, da tutti.
E invece no! Guardali meglio, questi ragazzini... sono tutti bigottamente identici, tutti uguali, tutti aspiranti 'tronisti', aspiranti calciatori dislessici alla Totti, aspiranti magnaccia alla Corona. Per di più tutti vestiti nello stesso modo! Cappello rosa con effige di coniglietto bianco, jeans calati fino alle ginocchia, didietro spropositato o inesistente, camicette attillate, magliette futuriste. Lo so, l'apparenza non conta, però mi sento come circondato da uccellini rapaci che non aspettano altro che saltarmi addosso da un momento all'altro, come nel film di Hitckock.

Basta? Posso smettere con la mia inutile lamentela? No, questi gnomi da allevamento si accalcano, ti strattonano, minacciano brandendo panini al salamino contro la mia maglia nuova.
Non c'è partita... con il loro finto fisicaccio non sono proprio dei maghi del contatto rugbystico, quindi scendo incolume e in mezzo a quella miriade di ragazzini sporgo la testa per poter vedere la professoressa.
Continuo a chiedermi perché sono stato chiamato dalla prof in quell'ora di fuoco e proprio nel piano del biennio.
Dò una violenta gomitata. Per fortuna blocco il braccio a pochi centimetri dallo stomaco della professoressa, che mi guarda sbalordita.
Mi scuso imbarazzato, pensando a come sarebbe cambiata la mia vita in pochi attimi se avessi allungato il colpo. Con un sospiro di sollievo saluto la prof con voce quasi strozzata.
Lei risponde con un sorriso imbarazzato e mi guarda, dalle fessure dei suoi occhi, secchissima. La professione la sta portando alla rovina. Tutti i professori faranno prima o poi la stessa fine: acidi, pignoli, incazzosi.
Per fortuna la prof in questione non è ancora arrivata a questi livelli.

"Ho letto il tuo racconto" Sorriso smagliante, anche se per metà.
"Allora, professorè. Come è?" I miei occhi luccicano per la speranza. Ma in un attimo il volto sereno della prof e il suo sorriso radioso si trasformano in una smorfia di compatimento e compassione. Smagliature sopra le labbra manifestano una piccola insoddisfazione, degli occhi rimangono solo le pupille, le palpebre si socchiudono sempre di più.
"Mah... A parte il contenuto, troppo elaborato, che potrebbe far perdere il filo al lettore..."
'Meno male'   penso. 'Ciò che mi importa è il contesto e la tesi di fondo'. La prof riprende fiato e continua, notando il mio sguardo assente per un attimo, perso nei miei pensieri.
"...la forma, che presenta molti errori, il narratore esterno, usato molto spesso impropriamente...e il contesto, troppo drammatico e la tesi...troppo..."
"Pessimista?"Aggiungo con un pizzico di voce, schiacciato tra l'umiliazione e un'inspiegabile preoccupazione.
"Diciamo di sì..."

Certo... il racconto che ho passato alla prof, una storia ambientata in epoca post-nucleare con una filosofia basata solo sulla sopravvivenza forzata, non può essere paragonabile a un volgare romanzo rosa, tutto fiori e cuoricini, bacetti e amoreggiamenti alla Tre metri sopra il cielo.

"A parte tutto ciò... il resto va bene"

Cosa rimane? Solo il titolo: 'A due passi dall'inferno', così tronfio e pompato, l'unica cosa che odio, è l'unica cosa che va a genio alla prof.

"Presentalo in segreteria."

"Prof! Meglio se lo do a lei. Giù è una bolgia infernale! Peggio di questo posto!"
"Non preoccuparti. Tu, scendi. Vai alla segreteria degli studenti, dici: - Sono Guido e sono qui per consegnare il racconto per il progetto 'ALUNNI-SCRITTORI'. - E' sicuro che te lo pubblicheranno insieme ai lavori degli altri ragazzi.".

Un 'arrivederci' poco convinto e mi faccio largo tra la folla di ragazzini fino alla segreteria.

Ragazzini. Li guardo e mi ricordo per qualche attimo quando io facevo il primo. Sembrano essere tutti esaltati come il me di due anni fa, gasati, felici di essere finalmente al liceo, pieni di progetti, desiderosi di diventare qualcuno entro i prossimi cinque anni, ambiziosi di essere enfant prodige.
Ricordi veloci della mia prima adolescenza mi attraversano mentre scendo le scale. Il ricordo di quando sognavo assoli di chitarra incitato da un pubblico esaltato, nonostante non conosca nemmeno un accordo, oppure l'immagine del pugno chiuso esultante per l'ultimo punto di un torneo internazionale, tennis o calcio non c'era differenza. Ma in pochi anni cambia tutto. Compresi i sogni!

"Cosa vuoi?" Una voce forte, acida, roca mi parla da dietro il tavolo. E' la voce di chi ha visto e provato tutto durante la sua vita.
Ha ventisei anni dicono, ma stento a crederci (come detto prima, la scuola rovina tutti, alunni, bidelli, presidi, insegnanti e addetti agli uffici).

"Avevo intenzione di partecipare al concorso ALUNNI-SCRITTORI" stesso tono sottomesso usato sabato scorso in discoteca dopo aver rovesciato la mia birra su un gorilla.

La segretaria con grazia, garbo ed eleganza mi strappa dalle mani il foglio con il racconto: gli occhi scorrono nervosi e rapidi a destra e a sinistra da dietro gli occhiali, mentre ogni tanto la testa viene sollevata di scatto. Le sue labbra sembrano muoversi invitando il resto del corpo alla calma.
Io non so che fare. Allungo il collo e guardo tutte le cartacce sul tavolo, sparpagliata senza nessun ordine logico e cronologico sul tavolo o in fila sopra la tastiera del computer.

"Sono documenti d'ufficio. Maleducato. Non si guardano."

Si intromette subito un'altra donna, compostamente seduta su una poltroncina: piedi sul tavolo, mani coperte da anelli e bracciali, regge avidamente una tazze di caffè o prende a cazzotti il computer di tanto in tanto.

L'altra segretaria si risistema gli occhiali con il dito medio, poi, con uno sguardo sufficiente e scocciato ricomincia a guardare il mio manoscritto. Zitto, aspetto che qualcuno parli.
Lei mi fa d'un tratto "Oggi, secondo il Pof e la nota A del paragrafo B della direttiva ministeriale C/17 il progetto sarebbe scaduto proprio un'ora fa. Ma vai da Marcella e vedi cosa può fare."

Cento metri di corsa, di affanni e dolori alla milza e sono davanti all'altra segreteria.
"Allora?" dice la segretaria dai capelli rossi, intenta a sfogliare testi di alta cultura.
Solita richiesta riguardo al concorso.
La segretaria poggia Novella2000 sul tavolo e afferra con grazia mi prende il racconto.
"Ti rendi conto che sono 41 pagine?" Inizia ad urlare drammaticamente.
"E allora?"
"Il progetto ne richiede massimo 40."
"Ma sul bando c'era scritto che..." reagisco con voce strozzata e supplicante.
"Senti... Vai da Paola e vedi che ti dice."

Da Paola. "Allora. Vai un attimo da Peppino, veloce se no poi non hai più tempo.".

Il brizzolato uomo dallo sguardo perso, detto Peppino: "Vai da Anna.".

Anna, sgargiante aspirante modella dotata di un top mozzafiato, classe over 55.
"Cosa ci fai di nuovo qui? Vai da Paola. Di corsa se no il concorso scade."

La storia si ripete altre due volte. I toni sempre più accesi e arrabbiati rischiano di causarmi un esaurimento nervoso.
Mi arrendo. Salgo in classe meditando vendetta.
Non vogliono lasciarmi partecipare a questo progetto?
Me la caverò da solo. Ci sono tanti editori in giro.

Non penso ad altro per il resto delle lezioni, evitando di infuriarmi per il Che-Guevara appiccicato sul banco brutalmente sfregiato con il taglierino da Antonio, per la professoressa che mi chiede come è andata in segreteria, per Antonio che con una sberla mi fa sbafare il disegno di Tecnica sul quale ero stato per una notte intera, per Antonio che ride, per Antonio che quando lo minaccio, scappa fuori a nascondersi dentro gli armadietti.
Il terzo anno l'ho trascorso più o meno così. Ma se trovo qualche editore il racconto, insieme a me, vedrà la luce del sole.

Mentre esco da scuola, urto per sbaglio un quindicenne, che cammina imperterrito a testa bassa. Mi fissa da occhi tristi, mesti, malinconici. Senza saperlo mi fermo un attimo, rispecchiandomi nei suoi occhi smarriti.
La prima cosa che penso... non è più un novellino esaltato, gasato. Sembra cosciente di una cosa che quei ragazzini del primo non sanno. Il secondo anno al liceo è così diverso e così uguale al primo. Stesse materie, ore e tempo libero.
Dal suo modo di fare leggo lo smarrimento e il malessere. Avrà capito che i suoi sogni e le sue ambizioni non sono che colossi dai piedi d'argilla, pronti a crollare. Ci penso rincamminandomi verso casa.

Accendo il pc. E' una bestia il mio pc, 58Mb di Ram, 5 o 6 Gb di Hard Disk e una linea di connessione a 28 kbps garantiti al 60%. Dopo un'ora e un quarto sono in rete a ricercare una qualsiasi casa Editrice.

Al Paola (veramente è un ragazzo che si chiama Paolantontonetti Armando, ma per comodità tutti lo chiamano Paola), avevo detto "Lo sai... se poi la scuola non riuscisse a pubblicare il mio racconto, lo sai a chi lo faccio pubblicare? No... Rizzoli è troppo grande... Mondadori? E' di Berlusconi... Einaudi? Non mi piace il nome. Sellerio Palermo Editore mi pare perfetta. E' piccola ma pubblica i Camilleri, Paola, è perfetto.".

Edizioni Termolesi Marino Saia. L'unica trovata. Cosa Faccio?
Spedisco il mio racconto post-nucleare. 10 minuti di upload. Fatto,
Ora posso godermi l'attesa della risposta dell'editore chattando.

Ed ecco Eugenia su MSN, la mia Irc preferita. Giusto in tempo per farmi il gradasso e raccontare del mio imminente successo letterario.

GUIDO...HELL...SONO UN MITO...scrive:
:-D Ciao Ciccia. Lo sai che ho fatto oggi?
Gegy Innamorata...Sei la mia vita...scrive:
Ciao Gui...Che hai combinato?
GUIDO...HELL...SONO UN MITO...scrive:
Ho inviato al direttore di una casa editrice di media importanza un mio racconto.
Gegy Innamorata...Sei la mia vita...scrive:
Ma cosa hai combinato?. Sei uno stupido. -_-'' Pirla Pirla Pirlaccia. Perché.
1.Chi ti dice che il direttore possa accettare il tuo racconto?
2.Chi ti assicura che il direttore non ti freghi i diritti e il racconto?
3.Chi ti assicura che il sito non sia un flop per fregare racconti e idee a pirla come te?
GUIDO...HELL...SONO UN PIRLA...scrive:
Cosa ho combinato?:'(
Gegy Innamorata...Sei la mia vita...scrive:
Non preoccuparti. Vai su 'sto sito che è sicuro. Una mia amica c'ha pubblicato un libro di illustrazioni.

Clicco sul link. Un sito serio, professionale, dalla schermata si apre un POP UP di aspetto marmoreo, su cui è scritto 'Stampa il tuo libro.'
CLICCO SUBITO.

Tutta la pagina ha uno stile molto decoroso, nobile quasi, sfumature gotiche. Ecco la griglia con a sinistra il numero di Copie del libro e a destra altri inutili numeracci.

100 Copie. Poche ma buone per farsi un nome. A destra. 800 €.

Sono così felice che lascio andare la testa sopra la tastiera.

E CHI CE LI HA 800 €?

Potrei provare con Italo.

Ci provo subito, infatti. Ma mio padre Italo risponde semplice, dolce: "No.".

Spengo il Pc. Mi rassegno.

Ora ho sedici anni. Ho imparato da tempo a conoscere i miei limiti. Mi ci sono abituato. Posso continuare a scrivere per me stesso, tenendo i racconti e le storie negli angoli remoti delle cartelle del mio computer, ma il sogno di pubblicare qualcosa è da archiviare nei meandri della mia mente insieme ai miei miraggi da prima adolescenza. Tanto, ci sono abituato.
In pochi anni sono diventato realista al massimo. Ma ormai ci sono abituato. Non sono più un quattordicenne esaltato o un quindicenne depresso. Ho sedici anni. E ormai, mi ci sono abituato.
Comunque resta il fatto che io desideravo pubblicare qualcosa.
Nemmeno diventare qualcuno.

Volevo solo diventare uno scrittore

 

   
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