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  Andrea Bertolaso
  Corto 36
Racconto [6]

 

     
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SUONARONO alla porta. Era la prematura sera di una giornata di inverno, fredda e brumosa. Lei accorse trepidante e profondamente preoccupata, il fiato leggermente accorciato dall'ansia, e nel cuore la speranza che fosse chi si aspettava. Aprì quasi con foga, e non potè trattenere un sospiro di sollievo quando scorse la borsa di pelle che l'uomo davanti a lei teneva nella mano destra.
– Sono il dottor Fantasia... è lei che ha chiamato urgentemente signora... signora Veronica?
– Si... sono io dottore... per fortuna è arrivato... la prego... venga subito... mi segua... mio figlio sta piuttosto male.
Lei gli fece strada, strisciando delle morbide pantofole rosa sul parque chiaro.
– Posso togliermi il cappotto? – chiese il dottore
– Ah si... mi scusi dottore... è che sono molto preoccupata per Andrea, mio figlio. Lo appenda pure li'... sull'attaccapanni.
Il dottore si sfilò il cappotto e rimase vestito in maniera decisamente informale, con jeans ed un bel maglione morbido di lana. Prese la sua borsa e seguì l'impaziente e nervosa Veronica, che salì delle scale in legno verso il piano superiore. Arrivarono di fronte ad una porta dipinta di rosa. Lei gli lanciò uno sguardo preoccupato, quindi con decisione l'aprì. La camera era una tipica camera da bambino, anche se predominava stranamente il colore rosa. Accanto ad un letto con una trapunta, che richiamava immagini bucoliche e fiori, c'era un piccolo lettino e dentro il bambino.
– Ecco Andrea, sono due giorni che fatica a dormire, e che non mangia quasi niente. Ha anche la febbre, ma la cosa che mi preoccupa e che ha smesso completamente di parlare. Non mi dice più niente, proprio niente, malgrado io gli faccia domande in continuazione. Per cui non so proprio come stia adesso... posso solo immaginarlo. La prego mi dica qualche cosa. Faccia qualche cosa.
Il dottore prese in braccio con delicatezza Andrea dal lettino e lo adagiò sul letto. Aprì la borsa per estrarne lo stetoscopio e, nel farlo, parlò con calma e dolcezza.
– Quanti anni ha Andrea signora Veronica?
– Quasi quattro... ne fa quattro a febbraio.  
Il dottore auscultò con attenzione il torace del piccolo che per tutto il tempo aveva tenuto gli occhi chiusi. Poi gli sentì la fronte.   Lo girò con un movimento morbido e incredibilmente fluido e gli auscultò la schiena.
Quando parlo', lo fece con un tono in linea con la morbidezza del suo modo di fare.  
– Lo ha sgridato duramente qualche giorno fa, vero?
– Si... è vero... ma come fa a saperlo? Aveva fatto delle storie esagerate per mangiare il minestrone ed io mi ero proprio infuriata. Ho alzato la voce e... si... lo ammetto... mi è anche scappato uno schiaffone. E' da allora che non mi parla più.
– Ma lei ha provato a dirgli che lo perdonava ed ha provato a chiedergli scusa per quello scatto di nervoso?
– Beh... no... non ancora...
– Guardi che con l'orgoglio non si risolve assolutamente niente. Il valore di una persona si dimostra nell'ammettere i propri errori, nel riuscire con umiltà a parlare dei propri sbagli quando si riconoscono. E si ha tempo per fare questo... non un tempo eterno, ma abbastanza lungo per poter recuperare i fatti. Per cui io sono sicuro che se chiede scusa ad Andrea, lui guarirà velocemente. Forza... lo faccia.
Veronica guardò il bambino, quasi con le lacrime agli occhi. Lo prese in braccio e poi stringendolo gli disse:
– Scusami tesoro se ho perso la pazienza... non lo faro' piu'... io ti voglio troppo bene amore mio... ti prego... perdonami.
Il bambino aprì gli occhi, in un volto illuminato da un sorriso. E quel sorriso contagiò Veronica ed il dottore. Quest'ultimo infilò lo stetoscopio nella valigietta di pelle e la richiuse.
– Quanto le devo dottore?
– Assoluamente niente... ma come, non lo sapeva che il mio è un servizio gratuito? Se mi vuole accompagnare alla porta.
Scesero ed il dottore riprese il suo cappotto e si avviò verso la porta. Guardò Veronica ancora una volta e la domanda gli uscì spontanea.
– Ma lei Veronica... quanti anni ha? 
La bambina lo guardò con gli occhi colmi di riconoscenza e rispose:
– Sette dottore, fatti un mese fa. Certo che fare il dottore dei giocattoli deve essere un bell'impegno?
Lui prese la porta e sorridendo, mentre usciva, le disse:
– Non mi dica... devo proprio correre via adesso... ho un trenino che non vuole più funzionare e un delicato intervento di chirurgia... devo riattaccare il braccio destro a un orso di peluche.

 

   
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