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  Gian Paolo Benini
  Come il "Che"
Racconto [15]

 

     
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SI SEDETTE a terra, la schiena contro il tronco di un platano ed estrasse il suo palmare. Entrò nel programma di posta e scrisse un indirizzo. Iniziò a digitare velocemente sulla tastierina virtuale.

Gentilissimo A.D.,
desidero inviarLe, quasi come nota a margine del colloquio odierno, la seguente spero interessante riflessione.
Lei è la società. Sono io l'errore. Lei rappresenta il meccanismo di selezione che presiede al mercato e alla vita delle persone. Io ho messo in gioco la mia vita, qualcosa che evidentemente è sbagliata a prescindere da qualsiasi ragionamento economico.
La società mi ha detto che dovevo studiare e io ho studiato mi ha detto che dovevo fare figli e io li ho generati mi ha detto che dovevo lavorare e io ho lavorato mi ha detto che dovevo occuparmi degli altri e io me ne sono occupato mi ha detto che dovevo pensare non solo alle persone ma anche all'ambiente e io l'ho fatto. Ora la società mi dice che tutto ciò non è corretto che io sono un ladro che mi sono arricchito alle spalle del prossimo che sono un bugiardo e che ho fatto del male. Bene, è chiaro che se la società nel suo insieme ha deciso che così è, la mia e la sua consapevolezza deve essere quella che una persona così non può vivere in un consesso comune e civile. Perciò per persone come me vi sono solo due possibilità o il carcere o la morte. In questa fase della mia vita il carcere non è per me un'alternativa e quindi preferisco la morte. Siccome la società è troppo vile per impormela con la forza, dopo aver usato per tutta la mia esistenza una violenza inaudita oggi si tira indietro di fronte a questa necessaria soluzione. Ebbene sarò costretto a fare da solo. E' comunque stabilito che ciò che sto per fare e che con tutta evidenza sarà il mio ultimo gesto da vivo non sarà senza conseguenze per la società.
E' mio volere assoluto che quanto sto per compiere abbia conseguenze catastrofiche per tutti coloro che hanno incarnato il male durante la mia esistenza e che il dolore che mi hanno provocato e che io provocherò ai miei figli ritorni su di loro moltiplicato fino a fargli desiderare di modificare le loro vite e di renderle simili alla mia. Perché è proprio così, la mia esistenza ha incarnato tutti i dettami, tutti i voleri della società e nonostante ciò la società mi ha costretto a morire. Ciascun individuo che da vicino o da lontano mi abbia colpito sarà colpito, ciascuno abbia paura è la paura che avete generato in me che non vi conoscevo e con i quali non ho mai avuto rapporti. Le vostre vite saranno travolte sarà la società da voi incarnata a schiacciarvi. Sono stato testimone di ogni sorta di nefandezza e di violenza e non sono stato mai nefando e non sono mai stato violento ho sempre sopportato convinto che il confronto e il dialogo avrebbero portato ogni volta ad un punto di incontro ragionevole, così non è ed è giusto che sia così in quanto io rappresento davvero l'errore che se assimilato invaderebbe le menti di chi viene a contatto con il germe del dubbio.

Si fermò e rilesse. Delirante. Aggettivo abusato. Non è delirante è pieno di dolore, un dolore che avrebbe bisogno di cure, ma che non può averne. Troppo pericoloso. Prima della mia morte riceverete mie notizie. Durante la mia morte sarete presenti. Dopo la mia morte il dolore schiaccerà le vostre menti. Il meccanismo della rimozione per quanto potente non funzionerà. Quando meno ve lo aspetterete tornerò e il dolore sarà inumano.
HASTA LA VICTORIA SIEMPRE.

Si fermò esausto. Riempì la pipa e la accese. Che cazzo di storia - pensò - mi ritrovo rannicchiato a scrivere per terra proprio come il CHE quando prendeva appunti sul suo taccuino in Bolivia. Si guardò intorno. Erano gli stessi alberi, gli stessi prati di quando era ragazzo. Di quando era bambino. Non c'era più nessuno.

Il messaggio era pronto per essere spedito. A culo - pensò - ho perso solo un sacco di tempo. Il CHE si alzò e andò a morire. Lui si sollevò e scrollandosi i calzoni cominciò a camminare verso l'auto.

 

   
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